22 GRUPPO XXV.
accademico. In veritä, 1’ Hansen ci piace piü nel Museo dell’arsenale di artiglie-*
ria, misto di stile loinbardo e di gotico e di arabo; il Ferste! nella chiesa \o-
tiva, archiacuta; il Semper nel teatro di Dresda. Vorremmo aggiungere che
preferiamo le chiese dello Schmidt e il suo ammirabile Ginnasio allo stragrande
Palazzo di Cittä, diviso a cinque piani, tormentato nelle masse e avente in
ruezzo un’altissima torre, che nasce dritta da terra. Questo Schmidt, che ha
disfatto e rifatto com’era prima tutio il campanile di San Stefano, che eom-
pone e dirige dieci o dodici fabbriche contemporaneamente, professore all’Ac-
cademia viennese di belle arti, lavoratore indefesso, allegro, franco, rapido,
buono, innamorato di Milano dove prima del cinquantanove insegnava a Brera
l’architettura, con la sua gran barba quasi grigia e la sua testa quasi rasa
pare un nriefice del medio evo. Sa insegnare con lo searpello al tagliapietre,
con la lima al fabbro ferraio. Disegna a grosse linee, spedito e sicuro, tutti i
piu piccoli particolari, sino alle toppe cd alle chiavi degli usci. Abbraccia del
suo edificio tutte quante le cose: s’incarna in esso e lo inearna in se. Infatti
l’unitä che n’esce e tanto perfelta, che l’occhio non se n’avvede, ma l’animo
ne resta tutto contento. Lo Schmidt non tratta altro stile che l’archiacuto: <*
per lui una lingua abbondante, efficace, precisa, pieghevole, con la quäle sa
esprimere le idee moderne e sevvire a tutti i nuovi bisogni. Per merito dello
Schmidt, che non e viennese, degli altri tre, che abbiamo nominati e che non
sono viennesi, e di alcuni artefici minori, Vienna, raccogliendo il buono da
tutte le parti, e rinnovandosi come fa da vent’anni a questa parte, assume quel
carattere suo proprio, che e del concentrare in se i caratteri de’varii popoli
austriaci.
Meglio die nelle sale si poteva studiare 1’architeltura nel pareo, intorno
agl’immensi edificii dell’Esposizione, dove quelle centinaia di palazzi, di case,
di pudiglioni, di edicole erano la vera mostra viva dell’arebitettura. Entro le
sale delle belle arti i disegni ed i modelli parevano cosa morta. Gli e che il
disegno ed il modello di un edißcio e un’arte non morta, ma non ancora nata:
non e arte, e il rnezzo per arrivarci, quasi come lo spartito di un’opera e il
mezzo per giungere alla rappresentazione musicale. Veramente chi non sa di
musica non pretende neanebe di capire una melodia, guardando alle note che
la indicano; e invece a molti pare una faccenda agevole il giudicare l’nrchi-
tettura dai disegni, i quali non ne sono in realtä che i’embrione, alcune volle
arcano, alcune volte fallace. Obi pensi come le diraensioni dell’ediäicio, le Ma
terie in cui dev’essere costrutto, le circostanze del luogo in cui dev’essere po-
sto, la bellezza e la varietä dei particolari, che devono dare moto e parola
all’insieme, influiscano snlia bontä di un’opera architettonica, s’ha da sentire
impacciato nel sentenziare di quella, se la sua professione non e appunto il
tracciare i segni architettonici per incarnarli ne’ mattoni e ne’ marmi. In fatti,
se il disegno geometrico raanca della prospettiva, la quäle e condizione neces-
saria di ogni solido, il modello in rilievo ha la prospettiva tutta sbagliata,
poiche, per grande che sia, le condizioni della veduta sono affatlo diverse da
quelle in cui 1’edificio dovrä mostrarsi in realtä. Il modello s’abbraccia tutio
con lo sguardo, si vede dall’alto, mostra a un tratlo le simmetrie delle masse,
e insomma piu ingannatore dello slesso disegno, il quäle s’accosta in fine alla
prospettiva di un edificio guardata da una grande distanza.