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Molte di queste parli, ed allre posate in terra nell’inlerno dell’arco, erano in-
vetriate o snialtate con belle (inte, alla maniera dei Robbia; e questo e il pro
prio modo di impiegare la terra cotta, non quello del simulare con essa la
pietra, come si costuma quasi sempre in Italia. La coloritura, che qui le danno
grigia o biancastra, non inganna nessuno, ed in breve scrostandosi lascia ve-
dere delle macchie rosse schifosa; senza dire che le sagome e gli ornamenli
con forli aggetti e con forti rientranze non sono adatti alla natura di quella
materia. Conviene in essa contentarsi di moderate sporgenze e scansare piü
che si possa i sottosquadra, acciocche i pezzi cuocciano nella fornace ugualmente
in tutti i loro angoli; poi conviene fare economia di modelli, i quali sono la
grossa spesa, e moltiplicare quindi lemodanature che si possono cavare da cia-
scuno degli stampi, provvedendo sino dalla idea della composizione a fare che
la varietä venga piuUosto dalla diversa distribuzione di pezzi uguali, come
usavano in Italia nel Quattrocento, che dalla molteplicilä delle forme partico-
lari. Ed i nostri vecchi, quando non ismaltavano la terra, la imbevevano bene
di olio, ma non la colorivano mai e non la facevano mai parere diversa da ciö
che essa e. Qggi si potrebbero con vantaggio sostituire all’olio i silicati di soda
e di polassa, cosx detti vetri solubili, che, dando mediocri resultati per le pie-
tre tenere e per allre materie, lo danno eccellente per i mattoni e le sagome
di terra cotta.
Erano tutti di mattoni nelj’ interno, imbellettati fuori con cemento, gl: edi-
ficii principali della Esposizione: i! palazzo delle industrie, quello per le arti
belle, il padiglione dell’imperatore, l’allro per i giurati. Le grosse colonne, gli
ampi archi, i gravi limpani, tutte le membra di uno Stile classico trattato con
molta larghezza di maniera e libertä di proporzioni, parevano di pietra, ed
erano di malta. Ma di ciö non si possono biasimare gli architetti, che dovevano
imprimere un carattere monumentale a edificii provvisorii, e che dall’altro
canto adoperano tutto di con vantaggio il cemento nelle case e nei palazzi di
Vienna. Ed e singolare come il cemento impiegato a modellare cornicioni, sti-
piti, pilastri, capitelli e il resto delle facciate sotto quel cielo piovoso, in quel
clima mutabilissimo, dove gela e nevica parecchi mesi dell’ anno e tirano venti
maledelli, si conservi per molto lempo intatto, assai piü che in Italia. Ci fu-
rono mostrati a Vienna alcuni prospetti di case tutti a ricci ed a cartocci ba-
rocchi, opere della fine del Seicento, che, non mai restaurati, sfidano tuttavia
le intemperie. Chi volesse dunque proscrivere l’uso del cemento nella decora-
zione architetlonica esterna non sarebbe uomo saggio colä, e neanche in Italia;
ma la ragione dovrebbe consigliare a lasciar da un canto la simulazione di mo-
noliti e di ciö che le pietre e i raarmi soli possono dare, per contentarsi e, se
si vuole, per isbizzarrirsi nelle forme, che sulla ossatura di mattoni la malta sa
produrre con facilitä e senza menzogna.
Se non badiamo ai materiali il padiglione dell’imperatore, con una grande
sala nel mezzo di ordine corinzio, due loggie ai lati e due testate di ordine
dorico, si puö dire che fosse bello davvero. Sapeva di francese. Gli atlici a ba-
laustri, ornati di scudi, di vasi, di putti, i tetti a gran curva rialzata, bucati
da ricchi occhi rotondi e terminanti in un ornamenlo di melallo, davano alle
masse orizzontali un movimento pieno di grandiose eleganza. Pur troppo in