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Volltext: Relazioni dei giurati italiani sulla Esposizione Universale di Vienna del 1873: Fascicolo 3, Gruppo V. Sez. D - Seta e tessuti di seta

ARCHITETTURA. 29 
Italia non si sa profiüare «lei tetti: sembra che dal cornicione in su la fab- 
brica non risguardi piü l’arcbitetto. La copertura si fa di tegole malamente, 
si fora di abbaini a casaccio, si deturpa con fumaiuoli senza ordine e senza 
forma. II nostro giudizio e tanto avvezzo a queste brutte cose scomposte ehe 
si ferma a!la grondaja; ma i nostri occhi sono a ogni modo offesi dal con- 
torno superiore dell’edificio, il quäle, tagliando sgarbatamente sul cielo, scitipa 
ogni cosa. Questa pure e una tradizione nostra architettonica. Salvo nelle chiese 
ed in pochi palazzi di cittä, come il Salone di Padova e quello di Vicenza, 
l’architettura italiana ne nel Medio Evo ne nel Rinascimento non ha mai ba- 
dato alla copertura. Ke nasce che la fabbrica o termina a linee orizzontali o 
con timpani e rialzi che corrispondono allo stesso piano verticale della facciata, 
rinunciando cosi a indicare decorativamente la profonditä dell’edificio, facile a 
dedursi dall’ampiezza del tetto, e a cavare grazia dai camini e dai lucernarii, 
collegandoli alle linee dell’architettura inferiore. Uno degli iiUicii dell archi- 
tetto e, ci pare, quello del trasmutare in bellezza ogni parte della sua coslru- 
zione: ma in ciö i Francesi, prima col loro stile romanzo, poi con il loro Stile 
del rinascimento, gl’Inglesi, i Tedeschi, che hanno sempre avuto piü di noi la 
cura dei bisogni materiali e che hanno una coscienza dell’arte piü di noi mi- 
nuta e meditatrice, ci steltero sopra in passato e ci stanno sopra al di d oggi. 
Ne, quanto ai tetti, e da dire che il beato clima italiano non esige uno svi- 
luppo grande di coperture, giacche non e mica necessario che s’abbiano a co- 
piare i tetti alla mansarda, a piramide, a cupola, a cilindro o a sesto acuto 
dei paesi settenlrionali; ma poiche i tetti nostri, sebbene ribassati, pur si ve- 
dono dalle vie e dalle piazze, sarebbe, se non ci inganniamo, una cosa oppor- 
tuna che non venissero cosi alteramente sprezzati. Ci restano le belle lastre 
di metallo, le ante fisse e le creste di ferro, di ghisa o di piombo, i torrini 
dei parafulmini, le ardesie a piü colori, o semplicemente le tegole bene ac- 
comodate, con dei fumaiuoli e degli spiragli decenti. E noi invece, quando 
si bada al decoro e si vuole far bene, non si trova altro rimedio che cacciare 
sulla cornice finale degli atticoni spropositati, che hanno lo sciocco impiego di 
nascondere agli occhi una parte essenzialissima dell’ edificio, e che schiacciano 
sotto il loro peso l’architettura della facciata. Siamo in questo, come in tante 
altre cose, gli schiavi del passato; classicisti a ogni costo e fuori di posto, an- 
clie quando ci diamoa inlendere di sfuggire il classicismo: insomma accademici- 
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