— 84 —
braio), la quäle regolava la navigazione di navigli ca-
richi di sale. Per vero, a buon diritto si osservava che, a
difendersi dal contrabbando, non si aveva perö a fare
leggi cieche, le quali nuocessero agli equipaggi ed ai
bastimenti. L’ Adriatieo, essendo mancante di porti di
salvezza, lungo la costa dello Stato pontificio e del regno
di Napoli, non potevasi vietare 1’ approdo ai capitani, in
caso di sinistro, nei porti della Dalmazia, obbligandoli
cosi a lottare contro gli elementi.
Mentre tali provisioni venivano chieste pel miglio-
ramento dei Irafüci non si intralasciava di esporre al
Governo le triste condizioni degli abitanti. E noi avem-
mo la fortuna di raccorre queste doglianze, che ci forni-
scono il modo di descrivere Venezia nel 1825 e nel 1827.
§ 15.
Venezia nel 1825.
Monsignore L Pirker patriarca di Venezia descri-
veva all’imperatore Francesco I la miserrima condi-
zione degli abitanti di Venezia con prospetti statistici.
II giornale il Times del 15 novembre 1825 riprodu-
ceva la importante Relazione, e quattro giorni dopo vi
accennava il Journal des Debats (19 novembre) (1). Il
Pirker dimoströ come crescesse smisurata e tremenda
la miseria, mentre andavano scemando le attivitä com-
merciali. Non si odono, scriveva, che lamenti di nego-
zianti, caduti nell’ estrema indigenza, di capitani mer-
cantili che si querelano del loro ozio, di marinai,
(1) Di tutto ciö e tenuto copia nella Raocolta Gicogna, Cod. 253.