nori, a tutte sue spese, una nave nell’Indie Orientali (e fu
la prima bandiera toscana che si vedesse in quei mari) a
fme di trasportarne fuori i saggi di quelle terre medesime,
che servivano alla composizione delle porcellane chinesi.
Le prime esperienze, com’ e facile a prevedersi, furono
molte e costosissime. I rottami delle stoviglie, o mal for-
mate o mal colorite o guastate nei forni, selciarono nei
primi tempi il piazzale della Fahbrica e le strade vicine.
«. Voi camminate sull’ oro » soleva dire uno dei marchesi
Ginori agli operai, che incontrava per la via, accennando ai
frantumi di porcellana e di majolica colorita, che scricchio-
lavano sotto i loro passi.
E qui c da notarsi una cosa.
Tutte le fabbriche di porcellana , che verso la mein
del secolo passato , vennero impiantate in Italia c in altri
paesi, o non ebbero lunga durata o se vissero e prospera-
rono, si fu in grazia del patroeinio e della munificenza di
quei Sovrani, che dopo averle istituite, le fecero lavorare per
proprio conto.
La fahbrica di Doccia, invece, fondata con ingenti sacri-
fizi e nata in un paese non propizio alle grandi imprese in-
dustriali, si resse e fiori unicamente per le eure e per la
indomabile perseveranza dei suoi proprietarj. Chiese po-
chissimo al governo della Toscana e non ottenne nulla, —
seppure non voglia considerarsi per un gran beneflzio quella
larva di privilegio accordatole temporaneamente, e cessato
con l’ anno 1812, di essere, cioe, 1’ unica fabbrica di questo
genere nello Stato, senza che fosse esclusa peraltro la con-
correnza delle porcellane e di tutte le altre stoviglie pro-
venienti di fuori, con dazi d’entrata eccessivamente miti.